In questo articolo vogliamo raccontarti qualcosa in più sulle restrizioni che il nuovo decreto sicurezza impone al settore della canapa, con un accento sulle conseguenze per il settore.
DDL sicurezza canapa: Mattarella firma
L'11 aprile 2025, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto sicurezza approvato il 4 aprile dal Consiglio dei Ministri. Ora il decreto passerà dalle Camere per essere convertito in legge, cosa che dovrà avvenire entro 60 giorni per evitare il decadimento del decreto. Purtroppo, l'articolo 18 del decreto impone nuovi stringenti limiti alla coltivazione e alla vendita della canapa.
Di seguito ti spieghiamo cosa prevede nel dettaglio.
DDl sicurezza canapa: 4 aprile 2025
Il 4 aprile 2025 il governo ha trasformato il DDL sicurezza in un decreto legge per accelerarne l’approvazione. In fretta e senza la possibilità di adeguato confronto, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto lo stesso giorno, con conseguenze drammatiche per il settore della canapa industriale, che da filiera legalmente solida diventa improvvisamente reato.
Il testo approvato, che va a sostituire il disegno di legge già in discussione al Senato nel 2024, interviene pesantemente sulla legge 242/2016, quella che promuove la coltivazione e lo sviluppo della filiera agroindustriale della canapa.
Con l’articolo 18, il decreto limita la produzione di infiorescenze di canapa e dei suoi derivati. Sono vietati l'importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, l'invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze di canapa, attività sanzionabili come previsto dal Testo Unico sugli stupefacenti del 1990.
Per entrare nei dettagli, la norma aggiunge un nuovo comma all’articolo 2 della legge 242/2016, che esclude dai benefici normativi tutte le attività legate alle infiorescenze, anche quando si tratti di prodotti semilavorati o trasformati, come oli, resine o estratti.
Con l’approvazione del decreto sicurezza del 4 aprile 2025, l’intera filiera è stata rasa al suolo, parliamo di circa 3000 aziende, 1600 imprese agricole, 800 negozi locali e più di 700 aziende nel settore della trasformazione. Più di 40.000 lavoratori e lavoratrici rischiano la disoccupazione.
La nota paradossale e grottesca della faccenda poi sta nell’usare il seme come paravento: dal punto di vista tecnico-legale infatti, l’utilizzo del fiore di canapa per la produzione di semi è consentito.
In pratica però, questa possibilità si rivela quasi inapplicabile. La bozza del decreto specifica infatti che l’uso delle infiorescenze è lecito solo se “comprovatamente finalizzato” alla produzione di seme. Ma che cosa significa “comprovatamente”?
Per gli operatori del settore si tratta solo di un escamotage retorico per sostenere che il governo “proibisce il fiore ma non la canapa”. Come spiega l’avvocato Giovanni Bulleri in questo articolo sul Fatto Quotidiano invece, la legge richiede una dimostrazione contrattuale dell’avvenuta destinazione a seme, una condizione che, nel concreto, espone le aziende a rischi interpretativi, verifiche invasive e potenziali contenziosi.
Questa misura appare in aperta contraddizione con il diritto europeo. L’Unione Europea infatti, attraverso regolamenti e sentenze, riconosce la canapa industriale come prodotto agricolo e botanico nella sua interezza, fiore incluso, quando il contenuto di THC è inferiore allo 0,2% (con tolleranza fino allo 0,3% o 0,6% a seconda delle legislazioni nazionali).
Il decreto entrerà in vigore dopo 24 dalla pubblicazione sulla Gazzetta.
Noi, insieme alle associazioni di settore continuiamo a impegnarci per chiedere tutela e norme adeguate alla filiera, che si trova nell’impossibilità di pianificare il futuro oltre che la stagione produttiva.
Già il 22 ottobre 2024, il nostro CEO Jacopo Paolini, aveva partecipato alle audizioni in Senato in qualità di rappresentante della filiera della canapa per Confagricoltura e aveva espresso il suo giudizio sull'articolo 18 del disegno di legge, portando la voce del settore agricolo e delle numerose aziende che operano in questo campo. Puoi leggere del suo intervento qui.
Le incongruenze dell'art 18 del decreto legge 2025
Analizziamo ora tre evidenti incongruenze dell’articolo 18 del decreto legge del 4 aprile 2025:
- Nessuna distinzione tra le infiorescenze (THC, CBD, CBG)
L’articolo 18 introduce una generalizzazione totale e penalizzante: vieta l’uso e la vendita di qualsiasi prodotto costituito da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.), indipendentemente dal contenuto di THC, con la giustificazione che potrebbero alterare lo stato psicofisico del soggetto e mettere a rischio la sicurezza pubblica o stradale.
Non viene fatta alcuna distinzione tra le infiorescenze ricche di THC (sostanza psicoattiva) e quelle contenenti CBD, CBG o altri cannabinoidi non psicotropi, ampiamente studiati e impiegati a fini terapeutici e benefici. È come bandire tutte le bevande fermentate perché alcune contengono alcol, ignorando che un kefir ha effetti completamente diversi da una grappa.
- La strana distinzione basata sui semi
Il decreto stabilisce che l’illecito riguarda le infiorescenze “anche se ottenute da coltivazioni iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, se non contengono semi”. Quindi un'infiorescenza senza semi è più pericolosa di una con semi? No. La presenza di semi ha una funzione riproduttiva, non altera la composizione chimica della pianta né la quantità di cannabinoidi.
La pericolosità giuridica di un prodotto, in un sistema razionale, dovrebbe dipendere dai suoi effetti e dalla sua composizione chimica, non da caratteristiche botaniche prive di rilevanza tossicologica.
- Nessuna normativa per le scorte esistenti
Il decreto non prevede alcuna norma transitoria per gestire le scorte esistenti. Le aziende che, fino al giorno prima della pubblicazione, lavoravano nel pieno rispetto della legge 242/2016, si trovano improvvisamente illegali, senza alcuna indicazione su come e dove smaltire le infiorescenze, a chi rivolgersi per i costi di distruzione certificata e senza nessuna possibilità di riconversione o indennizzo.
Il decreto non prevede alcuna norma transitoria per gestire le scorte esistenti, lasciando molte aziende in una situazione di totale incertezza. Fino al giorno prima della pubblicazione, queste imprese operavano nel pieno rispetto della legge 242/2016; oggi si trovano improvvisamente fuori legge, senza indicazioni operative. Cosa dovrebbe fare, concretamente, un imprenditore che vuole agire in conformità con la normativa?
- Conservare il materiale in magazzini sorvegliati, con registri di carico e scarico per sostanze stupefacenti?
- Procedere allo smaltimento in luoghi non controllati, con tutti i rischi del caso?
- Affidarsi a centri autorizzati per la detenzione e la distruzione di tali prodotti, tramite trasporti specializzati?
Sono domande pratiche, che attendono risposte urgenti e chiare da parte delle istituzioni. Ci sembra fondamentale sollecitare indicazioni precise, per consentire alle aziende di adeguarsi in modo legale e responsabile, evitando il rischio di abbandono o distruzione sommaria del materiale.
Un’interpretazione possibile: l’effetto drogante come discriminante
L’articolo 18 del nuovo Decreto Sicurezza stabilisce che l’infiorescenza di canapa, quando non destinata ad attività di produzione del seme, rientra nel regime della legge 309/1990. Tuttavia, è fondamentale ricordare che la stessa 309/90, normativa cardine in materia di sostanze stupefacenti, punisce esclusivamente le condotte riferite a sostanze che abbiano effetto drogante.
Questo solleva un interrogativo legittimo: se gli imprenditori riuscissero a dimostrare, con analisi certificate, che il proprio materiale non ha alcun effetto drogante, potrebbero continuare ad operare nel rispetto della legge?
In altre parole, l’inquadramento dell’infiorescenza all’interno della 309 non implica automaticamente che ogni sua forma sia da considerarsi illecita. È l’effetto drogante, e non semplicemente la presenza della sostanza, a rappresentare il discrimine giuridico.
Sulla base di questa interpretazione, si potrebbe aprire uno spazio di confronto tecnico e giuridico con le istituzioni, volto a definire parametri oggettivi di non pericolosità. Una possibile via per tutelare imprese che operano con serietà e trasparenza, e che sono pronte a dimostrare scientificamente l’assenza di rischio per la salute pubblica.
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